Il Principe Shotoku Taishi (574-622), secondogenito dell'Imperatore Yomei, occupa una posizione rilevante nella storia giapponese in quanto promotore di importanti riforme che avrebbero consolidato l'autorità imperiale, stabilendovi uno stretto legame col Buddhismo. Inoltre, favorì l'adozione delle concezioni politiche cinesi da cui si ispirò per creare uno stato centralizzato. Fu reggente dell'Imperatrice in carica Suiko dal 594 fino alla sua morte, nel 622, costituendo una delle figure più influenti durante il dominio del potente clan dei Soga.
Avendo studiato le sacre scritture buddhiste sotto la guida di un tutore coreano, il Principe Shotoku contribuì in modo decisivo alla diffusione della nuova religione, in particolare attraverso la costruzione di numerosi templi nell'area di Auska; tra questi c'è quello di Horyuji, fondato da lui nel 607 in una zona poco distante da Nara.
Oltre l'enorme divulgazione del Buddhismo a Shotoku va attribuito anche l'inizio di una nuova stagione di contatti diretti con la Cina, inviando, per esempio, missioni diplomatiche presso la Corte dei Sui (allora dinastia regnante della Cina Riunificata). Inoltre, sulla base di questi attivi scambi, Shotoku provvide all'introduzione in Giappone di importanti riforme ispirate al modello cinese.
Infatti, nel 603, istituì il sistema cinese del cap-rank, ovvero l'abitudine di indicare la classe di appartenenza dei funzionari attraverso il tipo di copricapo indossato. Tale sistema si fondava sulla divisione dei funzionari in dodici ranghi di Corte e, in teoria, doveva premiare -come in Cina- personaggi meritevoli. Tuttavia, nella pratica, prevalse presto il criterio dell'ereditarietà mentre ceto e posizione furono determinati in base allo status familiare, e non ai meriti personali.
A Shotoku è anche attribuita la stesura della cosiddetta "Costituzione dei diciassette articoli", emanata nel 604 con l'obbiettivo di rafforzare il governo centrale, ispirandosi ai valori confuciani, buddhisti e taoisti. Più che di una costituzione vera e propria, si trattava piuttosto di una serie di precetti e regole morali per i funzionari e ministri, chiamati a servire lo Stato, a garantirne l'armonia (wa), e a rispettare il proprio rango. La costituzione divenne inoltre una sorta di legittimazione della stirpe imperiale: l'Imperatore, indicato da allora col termine tenno (letteralmente, "sovrano del cielo"), regnava in qualità di diretto discendente della dea del Sole Amaterasu, rappresentando così il legame tra Cielo e Terra, ovvero tra la divinità celeste e i sudditi, obbligati quindi a rispettare la sua volontà.
Con la morte Shotoku, nel 622, si interruppe momentaneamente il processo di riforme avviato dal Principe reggente. Infatti, il clan dei Soga, che fino ad allora esercitava il proprio potere perfino sulla dinastia imperiale, fu vittima nel 645 di un colpo di Stato guidato da Nakatomi no Kamatari, iniziatore del nuovo clan dei Fujiwara che avrebbe dominato la vita di corte per circa 5 secoli. Ciò, tuttavia, non determinò ne la fine ne la trasformazione del progetto di riforme avviato da Shotoku, proseguito invece dai nuovi reggenti.
martedì 25 dicembre 2007
lunedì 17 dicembre 2007
L'introduzione del Buddhismo e il dominio dei Soga 2
Il successo militare garantì al clan Soga una posizione predominante sulla dinastia imperiale Yamato, posizione tra l'altro rafforzata dal "monopolio", tanto politico quanto religioso, che aveva sulla nuova religione buddhista. Il potere e l' influenza dei Soga fu tale da permettere loro perfino di usurpare l'autorità del sovrano: nel 592, il capo clan, Soga no Umako, fece assassinare l'imperatore in carica, in quanto ostacolo alle sue ambizioni; al suo posto salì al trono l'imperatrice Suiko, legata ai Soga da parte materna, affiancata a sua volta da un reggente (sesshoo). Si trattava di Shotoku Taishi (574-622), principe sposato a una donna del clan Soga, che dominò per lungo tempo la scena politica giapponese, assumendo di fatto le redini del governo. Fortunatamente per la continuazione della stirpe regnante, il Principe Shotoku si dedicò al suo rafforzamento, stabilendo un solido legame tra l'istituzione imperiale e il Buddhismo.
Infatti, il Buddhismo, col suo cerimoniale e i suoi valori universali, poteva diventare per la stirpe imperiale uno strumento politicamente utile, dato che era in grado di rafforzare l'idea e il prestigio del sovrano assoluto. Inoltre, identificando la religione buddhista con la famiglia imperiale, quest'ultima acquisiva una dignità e un'autorità simile a quella del sovrano cinese. Per questi motivi, la nuova dottrina fu accolta come la religione ufficiale dello Stato Giapponese in un momento in cui questo, fallito il tentativo di espansione in Corea, mirava a consolidarsi e a rafforzarsi in vista di possibili invasioni dal continente da parte della Cina dei T'ang. D'altra parte, la Cina divenne per il Giappone non solo una potenza da temere ma anche un modello da imitare per creare uno stato unificato, forte e centralizzato; il timore dell'espansionismo T'ang avrebbe, quindi, contribuito all'accelerazione di tale processo di centralizzazione del potere, attingendo dalle istituzioni che stavano alla base dell'Impero cinese.
lunedì 10 dicembre 2007
L'introduzione del Buddhismo e il dominio dei Soga 1
Nata in India nel VI secolo a.C., la religione buddhista fece il suo ingresso in Giappone circa un millennio dopo, precisamente nel 538, data convenzionale della sua introduzione nell'arcipelago attraverso la Corea. Infatti, secondo la tradizione, il sovrano dell'allora regno coreano di Paekche avrebbe inviato all'imperatore Kinmei statue, scritti buddhisti e un messaggio sull'utilità di questa dottrina, in grado di "soddisfare tutti i desideri in proporzione all'uso" che di essa si faceva.
A quell'epoca, il Gaippone era governato dal capo del clan (uji) Yamato, considerato imperatore dell' arcipelago ma che, di fatto, esercitava un potere solo formale: infatti, non era ancora in grado di imporre l'autorità assoluta sui potenti capi locali, ciascuno dei quali godeva di una grande autonomia ed era interessato a soddisfare le proprie ambizioni. In questa situazione, l'ingresso del Buddhismo, non interessando ancora le masse popolari, determinò invece una contrapposizione fra le élites al potere, divise in favorevoli o avverse a introdurlo nel Paese. E' chiaro come la scelta di ciascun clan di favorire o ostacolare la nuova dottrina dipendesse dalla preoccupazione di tutelare i suoi interessi e prerogative. Infatti, molti clan, in particolare quelli di antica origine come i Mononobe e i Nakatomi, ricavando legittimità, potere e prestigio dai culti indigeni shintoisti, vedevano nel Buddhismo una minaccia alla posizione che occupavano e ciò li porto in guerra conto i fautori della nuova religione, i Soga.
Quello dei Soga era un clan particolarmente influente di origine coreana che, da poco insediatosi in Giappone, occupava un ruolo di mediazione commerciale tra l'arcipelago e il continente. Questo uji non vedeva quindi la legittimazione del suo potere nei dettami religiosi dello Shinto ma nel Buddhismo, inteso come strumento per rafforzare ulteriormente il proprio controllo politico sulla famiglia imperiale, pur avendo già stabilito con essa vincoli di parentela. Guidati dal loro capo clan, Soga no Umako, i Soga uscirono vincitori nel 587 dalla guerra contro i clan ostili all' introduzione del Buddhismo capeggiati dai Mononobe.
La vittoria dei Soga garantì l'arrivo nell'arcipelago di monaci, reliquie, artigiani, e costruttori di templi provenienti dalla Corea. Tutto ciò diede un'apporto significativo alla diffusione della dottrina buddhista tra le classi dominanti e alla costruzione di ricchi templi, divenuti i nuovi simboli del potere dei clan dominanti. Il Buddhismo portò inoltre con sé un bagaglio culturale che comprendeva la medicina, il Confucianesimo, la burocrazia, la gestione politica su modello cinese e, soprattutto, la scrittura, segnando così il passaggio dall' età protostorica a quella propriamente storica.
domenica 2 dicembre 2007
Il periodo Yamato o Kofun 古墳時代 (250/300-538 d.C.)2
Durante il periodo Kofun, l'autorità dei signori Yamato si estendeva non solo sulla maggior parte dell'attuale Giappone, ad eccezione dell' Honshu settentrionale e dell' Hokkaido, ma anche su alcune zone della Corea meridionale. Secondo la tradizione Giapponese, ciò sarebbe avvenuto grazie alla guerra di conquista portata dalla leggendaria "imperatrice" Jingu, regina amazzone e sciamana del IV secolo d.C.. Sebbene tale invasione risulti alquanto improbabile, il controllo sulla Corea è forse da collegarsi ai continui movimenti migratori tra Corea e Giappone durante il IV-VI secolo. Infatti, la presenza di oggetti di provenienza continentale nelle tombe-kofun e le tracce di attività giapponese nella penisola coreana, testimoniano un consistente spostamento di persone e merci tra le due regioni.
In particolare, molti uji e be avevano vincoli di parentela, rapporti commerciali e, soprattutto, alleanze militari con uno o più dei tre grandi regni esistenti nella penisola coreana tra il 300 e il 668: quello di Paekche a sud-ovest, quello di Silla nella parte sud-orientale, e quello di Koguryo (dal quale deriva il nome moderno Corea) a nord. Inoltre, nell' estremità meridionale della penisola, fra Silla e Paekche, c'era anche Kaya (detta Mimana, in giapponese), una colonia giapponese fondata da gruppi di guerrieri che erano giunti dall' arcipelago e che si erano inseriti nella guerra tra i tre regni corani.
A partire dalla metà del VI secolo, la presenza giapponese diminuì in quell'area, concludendosi definitivamente nel 663, quando la flotta del regno di Silla distrusse quella giapponese in una battaglia navale a largo della Corea. In seguito, Silla avrebbe imposto il proprio controllo sull'intera penisola, unificandola nel 668. Da allora il clan Yamato avrebbe rinunciato alle sue ambizioni espansionistiche sul continente, preoccupandosi piuttosto di consolidare il suo dominio in Giappone, dove andavano soffocate le ribellioni di alcuni uji e anche di alcune tribù aborigene dell' Honshu settentrionale.
martedì 27 novembre 2007
Il periodo Yamato o Kofun 古墳時代 (250/300-538 d.C.)1
A partire dalla seconda metà del III secolo d.C., si ha una nuova era archeologica che prende il nome dalla progressiva diffusione di grandi costruzioni funerarie, dette kofun, erette sulle tombe delle classi egemoni. Si tratta di tumuli di terra, la cui sagoma ricalcava un modello già utilizzato a partire dal II secolo. Nella maggior parte dei casi, questi tumuli avevano una forma "a buco di serratura"- quadrata davanti e rotonda dietro- ed erano corredati di statue cave di terracotta, chiamate haniwa, "anelli di argilla". Gli haniwa, posti in cima al tumulo o nel terrapieno circostante, riproducevano inizialmente oggetti militari (corazze, elmi, scudi ecc...) ma, in seguito, raffigurarono animali (in particolare cavalli) e persone legate al defunto (come guerrieri, musici e agricoltori). Pare che queste terracotte fossero uno staus symbol del defunto, così come i vari oggetti posti all'interno della tomba (armi specchi, gioielli e utensili agricoli).
Questi monumenti erano il simbolo del potere esercitato dai vari clan (uji) che allora governavano sull'arcipelago. Il potere di ciascun uji era diversificato e proporzionale alla dimensione e alla maestosità della tomba-kofun che riusciva a costruire. Infatti, le tombe più imponenti sono quelle concentrate nel Giappone centrale (precisamente nell'attuale provincia di Nara) e attribuite all'uji Yamato, il clan più forte che riunì tutti gli altri sotto la propria egemonia, creando così uno stato centralizzato. Per fare ciò, i signori di Yamato non ricorsero solo alla forza, alla minaccia o alla coercizione, ma anche, e soprattutto, alla negoziazione e alla persuasione, incorporando gli altri clan e coinvolgendo i loro capi nel nuovo sistema di potere. In questo modo, il clan Yamato si pose a capo di una confederazione di uji, con ciascuno dei quali stabiliva legami attraverso l'assegnazione di titoli onorifici (noti come kabane) e una proficua politica matrimoniale atta a rinsaldare le alleanze.
Ne risultò uno Stato con un sistema amministrativo fortemente gerarchizzato, il cui vertice era occupato dai capi Yamto seguiti dagli uji più vicini alla loro stirpe, i quali si occupavano di tasse e questioni militari. Man mano che diminuiva il legame di parentela con la stirpe egemone, gli altri capi uji potevano aspirare al titolo di omi (la classe ministeriale) o, in un gradino immediatamente inferiore, a quello di muraji (responsabile delle mansioni esecutive). Al di sotto e al servizio degli uji, vi erano i be, i lavoratori, raggruppati a seconda dell'occupazione che svolgevano: c'erano be di contadini, be di servitori, be di pescatori e così via. Infine, sotto i be, al livello più basso della gerarchia, stavano gli yatsuko, cioè gli schiavi.
Il periodo Kofun, contraddistinto quindi dalla presenza degli omonimi monumenti funerari e dall'ascesa dell'uji Yamato, termina nella prima metà del VI secolo d.C., quando l'introduzione del Buddhismo portò al progressivo abbandono della pratica di costruire le tombe a tumulo (a favore della cremazione) e alla trasformazione della coalizione di clan in vero e proprio Stato centralizzato su modello cinese.
Questi monumenti erano il simbolo del potere esercitato dai vari clan (uji) che allora governavano sull'arcipelago. Il potere di ciascun uji era diversificato e proporzionale alla dimensione e alla maestosità della tomba-kofun che riusciva a costruire. Infatti, le tombe più imponenti sono quelle concentrate nel Giappone centrale (precisamente nell'attuale provincia di Nara) e attribuite all'uji Yamato, il clan più forte che riunì tutti gli altri sotto la propria egemonia, creando così uno stato centralizzato. Per fare ciò, i signori di Yamato non ricorsero solo alla forza, alla minaccia o alla coercizione, ma anche, e soprattutto, alla negoziazione e alla persuasione, incorporando gli altri clan e coinvolgendo i loro capi nel nuovo sistema di potere. In questo modo, il clan Yamato si pose a capo di una confederazione di uji, con ciascuno dei quali stabiliva legami attraverso l'assegnazione di titoli onorifici (noti come kabane) e una proficua politica matrimoniale atta a rinsaldare le alleanze.
Ne risultò uno Stato con un sistema amministrativo fortemente gerarchizzato, il cui vertice era occupato dai capi Yamto seguiti dagli uji più vicini alla loro stirpe, i quali si occupavano di tasse e questioni militari. Man mano che diminuiva il legame di parentela con la stirpe egemone, gli altri capi uji potevano aspirare al titolo di omi (la classe ministeriale) o, in un gradino immediatamente inferiore, a quello di muraji (responsabile delle mansioni esecutive). Al di sotto e al servizio degli uji, vi erano i be, i lavoratori, raggruppati a seconda dell'occupazione che svolgevano: c'erano be di contadini, be di servitori, be di pescatori e così via. Infine, sotto i be, al livello più basso della gerarchia, stavano gli yatsuko, cioè gli schiavi.
Il periodo Kofun, contraddistinto quindi dalla presenza degli omonimi monumenti funerari e dall'ascesa dell'uji Yamato, termina nella prima metà del VI secolo d.C., quando l'introduzione del Buddhismo portò al progressivo abbandono della pratica di costruire le tombe a tumulo (a favore della cremazione) e alla trasformazione della coalizione di clan in vero e proprio Stato centralizzato su modello cinese.
martedì 20 novembre 2007
Il periodo Yayoi 弥生時代 (300 a.C-250/300 d.C.)3
Durante l'ultima fase del del periodo Yayoi (tra il II e il IV secolo circa), si verificava la trasformazione delle varie comunità territoriali che costituivano gran parte del Kyushu, dello Shikoku e dell'Honshu. All'interno di ciascuna comunità, infatti, andavano definendosi una stratificazione sociale e una organizzazione gerarchia sempre più marcate. Innanzi tutto, la presenza di grandi tombe di varia forma (circolare, quadrata o a "buco di serratura") a partire dal 100 d.C, costituisce la prova evidente dell'esistenza di una classe dirigente a capo di ciascuna comunità. Questo nucleo dominante, in giapponese, è detto Uji.
Col termine uji, tradotto generalmente con tribù o clan, si tende a indicare una sorta di famiglia allargata, i cui membri erano legati tra loro da un vincolo di sangue (reale o presunto che fosse) e sottostavano a un capo famiglia, detto uji no kami. Il capo uji era considerato il discendente diretto del dio fondatore della sua stirpe, detto ujigami, e quindi era allo stesso tempo re e sommo sacerdote, riunendo nella propria persona l'autorità ereditaria e quella religiosa. La sua importanza era inoltre rafforzata dal fatto che gli era attribuita anche la capacità di conoscenza profetica, entrando in contatto col dio attraverso il sogno. Il ruolo di uji no kami veniva trasmesso in modo ereditario insieme ai simboli del suo potere politico e sacrale: uno specchio di bronzo, una spada e un gioiello.
Sempre in quest'ultima fase del periodo Yayoi, avveniva un'altra importante trasformazione: alcune comunità uji, occupando posizioni strategiche favorevoli o disponendo di terre molto fertili e produttive, diventavano economicamente e militarmente più forti delle altre. Ciò sarebbe stato alla base di una serie di lotte per l'egemonia, durante le quali gli uji più potenti formavano alleanze coi vicini, assorbivano quelli più deboli o giungevano a veri e propri scontri sul campo di battaglia. Questi confronti si sarebbero conclusi con la nascita di una confederazione di uji guidata dal clan della pianura Yamato, nell'attuale provincia di Nara. L'uji Yamato riuscì inoltre a sottomettere tutti gli altri clan e a consolidare il proprio potere, non solo facendo affidamento sulla propria forza militare, ma anche dichiarando di discendere dalla massima divinità celeste, la dea del Sole Amaterasu Omikami. Disponendo di un tale ujigami, il clan Yamato acquisiva una posizione religiosa inattaccabile, legittimando così il proprio potere politico, ottenuto in precedenza con la forza.
L'affermazione dell'uji Yamato avrebbe quindi portato alla progressiva unificazione sociale e politica dell' arcipelago e alla formazione dello Stato giapponese. Inoltre, il capo di questo clan (l'uji no kami) e i suoi discendenti avrebbero costituito la massima autorità politica e sacrale col titolo di tenno (letteralmente "sovrano celeste"), ovvero di imperatore.
Col termine uji, tradotto generalmente con tribù o clan, si tende a indicare una sorta di famiglia allargata, i cui membri erano legati tra loro da un vincolo di sangue (reale o presunto che fosse) e sottostavano a un capo famiglia, detto uji no kami. Il capo uji era considerato il discendente diretto del dio fondatore della sua stirpe, detto ujigami, e quindi era allo stesso tempo re e sommo sacerdote, riunendo nella propria persona l'autorità ereditaria e quella religiosa. La sua importanza era inoltre rafforzata dal fatto che gli era attribuita anche la capacità di conoscenza profetica, entrando in contatto col dio attraverso il sogno. Il ruolo di uji no kami veniva trasmesso in modo ereditario insieme ai simboli del suo potere politico e sacrale: uno specchio di bronzo, una spada e un gioiello.
Sempre in quest'ultima fase del periodo Yayoi, avveniva un'altra importante trasformazione: alcune comunità uji, occupando posizioni strategiche favorevoli o disponendo di terre molto fertili e produttive, diventavano economicamente e militarmente più forti delle altre. Ciò sarebbe stato alla base di una serie di lotte per l'egemonia, durante le quali gli uji più potenti formavano alleanze coi vicini, assorbivano quelli più deboli o giungevano a veri e propri scontri sul campo di battaglia. Questi confronti si sarebbero conclusi con la nascita di una confederazione di uji guidata dal clan della pianura Yamato, nell'attuale provincia di Nara. L'uji Yamato riuscì inoltre a sottomettere tutti gli altri clan e a consolidare il proprio potere, non solo facendo affidamento sulla propria forza militare, ma anche dichiarando di discendere dalla massima divinità celeste, la dea del Sole Amaterasu Omikami. Disponendo di un tale ujigami, il clan Yamato acquisiva una posizione religiosa inattaccabile, legittimando così il proprio potere politico, ottenuto in precedenza con la forza.
L'affermazione dell'uji Yamato avrebbe quindi portato alla progressiva unificazione sociale e politica dell' arcipelago e alla formazione dello Stato giapponese. Inoltre, il capo di questo clan (l'uji no kami) e i suoi discendenti avrebbero costituito la massima autorità politica e sacrale col titolo di tenno (letteralmente "sovrano celeste"), ovvero di imperatore.
mercoledì 14 novembre 2007
Il periodo Yayoi 弥生時代 (300 a.C-250/300 d.C.)2
Durante gli scontri del periodo Yayoi, ciascuna comunità territoriale, organizzatasi attorno alla coltura del riso, stipulava alleanze strategiche con quelle vicine dando così origine a numerosi piccoli paesi. La maggior parte delle notizie che abbiamo su questi paesi in guerra tra loro, proviene dalle cronache cinesi dell'epoca. La prima di queste a fare menzione del Giappone è l' Han Shu (Storia di Han), una storia cinese composta nel I secolo d.C.. L'Han Shu, in particolare, si riferisce alla "Terra di Wa" (terra dei Nani), composta da un centinaio di "regni" guidati da capi locali, che la cronaca definisce "re" e "regine".
Una descrizione più dettagliata viene, invece, da una cronaca della metà del III secolo d.C., il Wei Chin (Storia di Wei, uno dei tre regni della Cina di quell'epoca) che racconta dello Yamatai, il più forte dei cento regni, allora governato da una regina sciamana nubile, chiamata Himiko. Secondo il Wei Chin, si trattava di una donna misteriosa, attorno alla quale ruotavano molte leggende come quella secondo cui "si occupasse di magia e stregoneria", incantando la gente. Come altri governanti, anche lei versava tributi alla Cina ricevendo in cambio la legittimazione del suo status regale, ma pare che venisse riconosciuta, dagli altri reggenti, come sovrano di tutta la terra di Wa (e non solo di un regno che la costituiva).
Per questo motivo, Yamatai viene identificato, da molti storici, con Yamato ovvero l'uji, sorta di clan o famiglia allargata, che sarebbe uscito vittorioso dagli scontri del periodo Yayoi diventando la massima autorità dell'arcipelago giapponese.
Una descrizione più dettagliata viene, invece, da una cronaca della metà del III secolo d.C., il Wei Chin (Storia di Wei, uno dei tre regni della Cina di quell'epoca) che racconta dello Yamatai, il più forte dei cento regni, allora governato da una regina sciamana nubile, chiamata Himiko. Secondo il Wei Chin, si trattava di una donna misteriosa, attorno alla quale ruotavano molte leggende come quella secondo cui "si occupasse di magia e stregoneria", incantando la gente. Come altri governanti, anche lei versava tributi alla Cina ricevendo in cambio la legittimazione del suo status regale, ma pare che venisse riconosciuta, dagli altri reggenti, come sovrano di tutta la terra di Wa (e non solo di un regno che la costituiva).
Per questo motivo, Yamatai viene identificato, da molti storici, con Yamato ovvero l'uji, sorta di clan o famiglia allargata, che sarebbe uscito vittorioso dagli scontri del periodo Yayoi diventando la massima autorità dell'arcipelago giapponese.
martedì 13 novembre 2007
Il periodo Yayoi 弥生時代 (300 a.C-250/300 d.C.)1
Quest' epoca, che segna un radicale cambiamento rispetto al periodo Jomon, prende il nome dal distretto Yayoi, a Tokyo, dove furono trovati i primi esemplari di un nuovo tipo di ceramica, piatta e rossiccia, decorata in modo meno elaborato ma di qualità superiore rispetto a quella del periodo precedente. Si tratta di una produzione varia e diversificata nel territorio, che presenta comunque aspetti di continuità con la ceramica Jomon. In effetti, la cultura Yayoi viene considerata come il risultato della fusione di elementi presenti nell'arcipelago giapponese fin dal 10000 a.C. con elementi nuovi portati dagli immigranti che giungevano dal continente a partire dal 400 a.C circa.
Dalla Cina, attraverso la Corea, giunsero, infatti, oggetti e prodotti nuovi come armi, specchi di bronzo e attrezzi agricoli. Ma , l'apporto più significativo di questa immigrazione fu senz'altro l'introduzione, verso il III-IV secolo a.C della risicoltura che segnò, per le isole giapponesi, l'inizio di una nuova era: infatti, la coltura del riso comportò l'aggregazione e l'insediamento permanente di gruppi di persone, insieme a tutta una serie di fenomeni sociali, religiosi e politici di cui era la causa.
Prima di tutto, lo svolgimento di questa attività richiedeva molta acqua pulita, una cura intensa e, quindi, anche di forme di collaborazione tra i coltivatori, determinando in tal modo l'importanza dei rapporti interni alle varie comunità attorno alle quali presero forma anche vari riti religiosi. Infatti, il bisogno di propiziarsi il favore degli elementi della natura per ottenere un buon raccolto, portava alla nascita del culto dello shinto (via degli dei) primitivo. Esso consisteva essenzialmente nel'ottenimento, attraverso la ritualità, della protezione delle divinità locali, i kami, con cui si identificavano fiumi, cascate, rocce, vulcani ecc...La protezione e il culto dei kami contribuirono a rafforzare i legami all'interno delle varie comunità e l'identificazione che ciascuna di esse aveva col territorio.
Infine, la risicoltura aveva determinato due fenomeni politici rilevanti: una stratificazione sociale più marcata all'interno di ciascuna comunità territoriale (col formarsi, per esempio, di un'élite dominante e di gerarchie); e una disparità di forza economica e militare tra le singole comunità, in quanto alcune disponevano di terre più fertili e produttive o occupavano posizioni strategiche migliori rispetto alle altre. Inoltre, lo sfruttamento della terra era (e sarebbe stata da allora fino agli inizi del secolo scorso) l'unica fonte di sostentamento, nonché di ricchezza e di potere. Ciò basta a spiegare la continua lotta, politica e militare, per il potere tra le varie comunità territoriali durante tutto il periodo Yayoi .
Dalla Cina, attraverso la Corea, giunsero, infatti, oggetti e prodotti nuovi come armi, specchi di bronzo e attrezzi agricoli. Ma , l'apporto più significativo di questa immigrazione fu senz'altro l'introduzione, verso il III-IV secolo a.C della risicoltura che segnò, per le isole giapponesi, l'inizio di una nuova era: infatti, la coltura del riso comportò l'aggregazione e l'insediamento permanente di gruppi di persone, insieme a tutta una serie di fenomeni sociali, religiosi e politici di cui era la causa.
Prima di tutto, lo svolgimento di questa attività richiedeva molta acqua pulita, una cura intensa e, quindi, anche di forme di collaborazione tra i coltivatori, determinando in tal modo l'importanza dei rapporti interni alle varie comunità attorno alle quali presero forma anche vari riti religiosi. Infatti, il bisogno di propiziarsi il favore degli elementi della natura per ottenere un buon raccolto, portava alla nascita del culto dello shinto (via degli dei) primitivo. Esso consisteva essenzialmente nel'ottenimento, attraverso la ritualità, della protezione delle divinità locali, i kami, con cui si identificavano fiumi, cascate, rocce, vulcani ecc...La protezione e il culto dei kami contribuirono a rafforzare i legami all'interno delle varie comunità e l'identificazione che ciascuna di esse aveva col territorio.
Infine, la risicoltura aveva determinato due fenomeni politici rilevanti: una stratificazione sociale più marcata all'interno di ciascuna comunità territoriale (col formarsi, per esempio, di un'élite dominante e di gerarchie); e una disparità di forza economica e militare tra le singole comunità, in quanto alcune disponevano di terre più fertili e produttive o occupavano posizioni strategiche migliori rispetto alle altre. Inoltre, lo sfruttamento della terra era (e sarebbe stata da allora fino agli inizi del secolo scorso) l'unica fonte di sostentamento, nonché di ricchezza e di potere. Ciò basta a spiegare la continua lotta, politica e militare, per il potere tra le varie comunità territoriali durante tutto il periodo Yayoi .
sabato 3 novembre 2007
Popolazione Jomon 縄文人口 e popolazione Yayoi 弥生人口
Gli abitanti del periodo Jomon (10000-300 a.C) sono generalmente considerati i primi coloni dell'arcipelago giapponese, giunti intorno al 13000 a.C, alla fine dell'ultimo periodo glaciale, attraverso una serie di istmi che collegavano le isole al continente asiatico. Si presume che la maggior parte di questi abitanti fosse costituita da popolazioni caucasiche preistoriche della Siberia, arrivate da Nord attraverso le Isole Curili e Sakhalin e distribuitesi successivamente su tutto il territorio.
La popolazione Jomon, costituita da cacciatori, raccoglitori e pescatori, era di bassa statura (non doveva superare i 160 centimetri di altezza), aveva aveva uno scheletro pesante, ossa delle gambe piatte e un volto ampio e squadrato. In base a questi e altri dati, gli antropologi mettono in evidenza analogie significative tra questi primi abitanti e gli attuali Ainu che vivono nell' Hokkaido (la più settentrionale delle Isole Maggiori). Infatti, secondo studi antropologici, l'etnia Ainu discenderebbe dalla popolazione Jomon, mentre i giapponesi moderni sarebbero i pronipoti degli Yayoi, caratterizzati da un aspetto più alto e slanciato e col volto meno squadrato. Arrivata dal continente (in particolare dalla Corea) intorno al 500 a.C., la popolazione Yayoi spinse gradualmente i coloni Ainu verso le regioni settentrionali dell' Honshu (l'isola giapponese più grande), e a partire dal IX secolo essi si insediarono nell'Hokkaido.
Giunti in gran numero, i nuovi arrivati avrebbero contribuito in modo più determinante, rispetto alla popolazione Jomon, nella formazione del Giappone: infatti, essi introdussero, insieme a ferro e bronzo, la cultura del riso, la cui diffusione avrebbe fatto della proprietà terriera la base della struttura gerarchica pubblica, spianando la strada al futuro predominio dei sistemi feudali.
venerdì 2 novembre 2007
Il periodo Jomon 縄文時代 (10000-300 a.C.)
Il passaggio dal Paleolitico al Neolitico si colloca, in Giappone, attorno al 10000 a.C. con la comparsa di una manifattura ceramica. Infatti, il periodo Jomon (letteralmente "del disegno a corda") prende il nome dalla pratica di imprimere con una corda o una stuoia di paglia motivi decorativi su gran parte dei vasi d'argilla prodotti in questo arco di tempo. A questa produzione ceramica si accompagna anche quella di antichi manufatti di terracotta, detti dogu, che riproducono animali o figure antropomorfe. Utilizzati probabilmente in riti superstiziosi e magici legati all'invocazione di fertilità e abbondanza, i dogu rappresentano, nella maggior parte dei casi , figure femminili con seni e addomi sporgenti.
Nonostante questo periodo trovi un elemento di continuità nel tipo di ceramica realizzata, ultimamente si tende a definire le fasi dell'evoluzione della sua cultura. Così, probabilmente, i nuclei originari di una popolazione Jomon, tra Paleolitico e Neolitico, erano costituiti da cacciatori e raccoglitori mentre, tra il IX e l'VIII millennio a.C., il riscaldamento climatico permise la disponibilità di nuove risorse e favorì lo sfruttamento dei prodotti marini, come è dimostrato dal ritrovamento di enormi cumuli di conchiglie ritrovati vicino alla baia di Tokyo. Un ulteriore mutamento si registrò tra il 5000 e il 3500 a.C. con il miglioramento delle condizioni climatiche e l'innalzamento del livello del mare che permisero uno sfruttamento più abbondante delle risorse delle coste. Il successivo abbassamento del livello del mare, avvenuto verso la metà del IV millennio a.C., avrebbe, invece , portato a una riduzione delle risorse del mare, costringendo la popolazione Jomon a uno spostamento dalle regioni costiere a quelle interne. Tuttavia, già a partire dal 2000 a.C., si assiste al ritorno della maggior parte della popolazione sulla costa confermando la loro preferenza per una vita da raccoglitori e pescatori.
Il periodo Jomon non è stato, in pratica, un momento storico statico, ma caratterizzato da un processo di evoluzione storica condizionato da cambiamenti climatici, sviluppo di nuove tecnologie e aumento della consapevolezza del trascendentale con la conseguente diffusione dello sciamanismo, del ritualismo e di nuove pratiche di sepoltura. Tuttavia, l'introduzione della risicoltura nell'arcipelago intorno al 1000 a.C e il suo sviluppo a partire del 300 a.C., insieme all'immigrazione in Giappone di nuove popolazioni, segnarono la fine di questo periodo e l'inizio di uno nuovo,il periodo Yayoi. Infatti, la cultura Jomon, fondata essenzialmente sulla caccia, la raccolta e la vita seminomade avrebbe lasciato il posto a una cultura agricola, proveniente dal continente e caratterizzata da una vita sedentaria attorno a campi fertili e dallo sviluppo di un'organizzazione socio-politica basata su comunità locali legate al territorio. Sarà proprio a partire da questi nuovi insediamenti che inizierà a formarsi e definirsi la società giapponese come noi la conosciamo.
sabato 27 ottobre 2007
Introduzione al Kojiki 古事記
Le vicende descritte sinteticamente nell'articolo precedente ( Le origini dal mito ) sono trattate nel Kojiki (letteralmente "vecchie cose scritte"), la più antica opera letteraria giapponese a noi pervenuta. In particolare, il testo riportato in questo blog, costituisce a grandi linee l'argomento del primo dei 3 libri in cui il Kojiki è suddiviso, quello riferito all'epoca mitologica dall'origine dell'arcipelago alla fondazione dell'impero ad opera di Jinmu. Nel secondo libro, invece, la narrazione tratta il succedersi di sovrani parzialmente sovrumani arrivando fino al III secolo d.C mentre il terzo, riguarda vicende di un tempo vicino e si conclude con brevi notizie sull'imperatrice Suiko arrivando al 628 circa.
Compilato presumibilmente nel 712 d.C. dal nobile di corte Yasumaro per ordine dell' imperatrice Genmei, il Kojiki è anche il risultato della revisione di annali dinastici e dei miti antichi (tramandati oralmente) fatta dal cortigiano Are per volere dell'imperatore Tenmu attorno alla fine del VII secolo. Il lavoro di Are, interrottosi alla morte del sovrano nel 686, sarebbe infatti stato ripreso venticinque anni dopo da Yasumaro. Il Kojiki viene dunque a prendere forma negli ambienti della corte imperiale tra gli ultimi anni del VII secolo e i primi dell'VIII, ovvero il periodo di consolidamento del potere politico e religioso della dinastia regnante. Proprio in questi anni, l'opera si configura come la legittimazione ideologica della supremazia della famiglia imperiale. Il Kojiki nasce infatti come una sorta di "propaganda dinastica", voluta dall'Imperatore Tenmu, facendo discendere la famiglia imperiale dalla divinità suprema, la dea del Sole Amaterasu Omoikami che avrebbe inviato i suoi discendenti a regnare sulla terra di Yamato (antico nome del Giappone). Il legame di sangue con la dea solare e la sanzione celeste dell' egemonia terrena del sovrano avrebbero impedito la possibilità di un avvicendamento dinastico, contribuendo così alla sopravvivenza dell' istituzione imperiale anche quando questa sarà priva di un effettivo potere politico.
Quelli della compilazione del Kojiki sono inoltre gli anni di una svolta cruciale nella cultura dominante: è proprio in questi anni, in cui il modello culturale cinese tende a diventare egemone in tutti i campi del sapere, che il Giappone cominciò a coniare soluzioni originali in arte, architettura e letteratura. Infatti, il Kojiki mostra lo sviluppo embrionale di un sistema di scrittura propriamente giapponese, sebbene basato su caratteri cinesi. In pratica, si tenta di mettere, per la prima volta, per iscritto la lingua giapponese adattando alle sue esigenze la scrittura cinese. Nasce così una prosa scritta con ideogrammi di origine cinese mescolati, talvolta, a caratteri fonetici giapponesi.
Il Kojiki segna dunque l'esordio letterario del Giappone.Si tratta, infine, di un racconto dove si intrecciano successioni al trono, matrimoni regali ma anche storie di tradimenti e inganni, racconti del terrore e resoconti di incantesimi e maledizioni dove prevalgono atti crudeli e violenti.Certo, la violenza non manca nemmeno nei miti di alte parti del mondo ma a contraddistinguere la mitologia giapponese dalle altre è l'assenza di giudizi morali su ciò che buono o cattivo: alcune azioni possono essere seguite da punizioni o censure ma mai da riprovazioni. Così, per esempio, il dio Susano-o, pur comportandosi in modo malvagio viene allontanato dal Cielo ma non viene mai condannato per il suo atteggiamento.Un certo tipo di comportamento può essere accettato o rifiutato a seconda delle circostanze, e non in base a un codice di principi universalmente riconosciuti.
In conclusione, il Kojiki è senz'altro una lettura tanto interessante quanto utile per iniziare a conoscere, o approfondire, aspetti storici ma anche culturali, antropologici e perfino sociali del Giappone. Per questo motivo, oltre che per l'incredibile immaginario e i messaggi in esso contenuti, è una lettura che raccomando a chiunque e , in particolare, a chi è interessato al Paese del Sol Levante.
venerdì 19 ottobre 2007
Le origini dal mito
Secondo la mitologia giapponese, all'origine di tutto, le divinità del Takamagahara (le Pianure del più Alto Livello del Cielo), osservando la distesa salmastra, informe e caotica sotto di loro,inviarono la coppia Izanagi (
Inoltre,da Izanagi e Izanami ebbe origine anche una numerosa discendenza divina, ma nel partorire il dio del fuoco, Izanami si ustionò il ventre e morì dandolo alla luce. Disperato, Izanaki si recò nello Yomi, il paese dei
Però, a causa del suo carattere ribelle, Susano-o si rifiutò di governare l'oceano e fu, per questo ,cacciato dal padre; Susano-o decise allora di recarsi all
Susano-o ,cacciato così dal cielo, si incammino nella terra degli e uomini e si recò ,per la precisione, a Izumo dove uccise il drago di
La Dea del Sole infatti aveva mandato dal cielo suo nipote Ninigi a governare sulla terra di Yamato (questo era infatti l'antico nome del Giappone) consegnandoli i tre tesori divini che avrebbero costituito per lui e i suoi discendenti il simbolo della loro investitura celeste. Tali tesori (ovvero la spada ,lo specchio e i gioielli sopra citati) sono tuttora il simbolo della legittimazione divina del tenno (l'imperatore). Fu infatti a partire dalla mitica data della fondazione dell'Impero giapponese l'11 febbraio 660 a.C. per opera del primo Imperatore Jinmu, nipote di Ninigi, ad avere inizio la Dinastia del Crisantemo che dura tuttora e che ,in quanto discendente per linea diretta dalla dea Amaterasu, è essa stessa divina.
giovedì 11 ottobre 2007
Introduzione: come (non) guardare il Giappone
Vorrei inaugurare questo blog, (apparentemente) molto specifico, meditando, prima di tutto, su come noi italiani, o meglio, noi occidentali ci poniamo di fronte a ciò che si usa definire "Oriente" e a una delle sue numerose realtà (il Giappone, appunto). E Vorrei fare ciò a partire da una contestualizazione storica, mostrando le origini di un'interpretazione dell'Asia relativamente recente e, a mio parere, sbagliata indicando tra l'altro i residui che tale interpretazione ha lasciato nella nostra cultura. Come si vedrà alla fine di questo articolo, tali residui dovranno essere infatti abbandonati ai fini di una lettura che cerchi di cogliere la storia e la cultura giapponesi nel loro contesto locale e non all'interno di una visione "occidentalista" del mondo.
Tra i primi anni del 500 e la metà 800, gli europei costituivano in Asia una presenza marginale tanto dal punto di vista numerico quanto della forza di influenza, non avendo gli strumenti per cambiare la relazione di inferiorità che avevano col mondo orientale. A partire dalla metà del XIX secolo, invece, la situazione si capovolse rapidamente e in una stagione intensa ma breve l'Europa finì per dominare l'Asia. Tale stagione di conquista europea fu legata alla rivoluzione industriale che dotò gli europei di quegli strumenti di controllo economico e di superiorità militare, permettendole così la forzatura e l'apertura delle realtà asiatiche.Inoltre, convincendosi della superiorità del loro sistema politico ed economico, gli europei finirono per credersi superiori agli orientali in quanto esportatori di un superiore modello politico, sociale ed economico.
E' proprio in questo periodo che nasce ,infatti, il mito dell' "uomo" bianco, dotato di una naturale superiorità culturale morale e intellettuale rispetto al resto del mondo. Di conseguenza, si sviluppò una visione eurocentrica che considerava l'Asia orientale solo su un piano di contrasto o di relazione con l'occidente.In pratica l'altro diventava importante nel momento in cui entrava a far parte dell' esperienza occidentale. Tale visione, rimasta dominante almeno fino alla metà del secolo scorso, ha influito e condizionato perfino l'ambito scolastico dei nostri giorni : infatti,nella maggior parte dei casi si studia l'Asia Orientale quando ha avuto un ruolo nel rapporto con l'Europa.
Di conseguenza noi siamo abituati a pensare alla trasformazione del mondo, sia in positivo che in negativo, come una nostra responsabilità. Anche quando critichiamo l'imperialismo occidentale, inconsciamente, lo facciamo nella prospettiva che noi siamo i superiori, i dominatori. D' altra parte ,si è comunque sviluppata di recente una storiografia "orientale" che pone l'analisi dell'Asia non sotto un ottica occidentale, europea, ma sotto un'analisi che osserva le fasi specifiche della storia dei paesi asiatici.
Ciò non toglie il fatto che l'Eurocentrismo abbia lasciato la sua impronta tanto nella storiografia quanto, soprattutto, nella cultura occidentale.I residui di un tale impatto si possono, per esempio, osservare in espressioni, convinzioni e pregiudizi della nostra quotidianità. Per esempio,nel momento in cui indichiamo i giapponesi come abili imitatori ed emulatori per giustificare il loro progresso tecnologico, implicitamente non riconosciamo una loro effettiva capacità di cogliere, da soli, i princìpi della meccanica e, magari, li consideriamo persino plagiari della "tecnica" occidentale. Per lo stesso motivo, si sono sviluppati in occidente tutta una serie di luoghi comuni (per esempio quello del paradosso della "convivenza della modernità con la tradizione" )che non fa altro che contribuire a darci una visione distorta del Giappone.
La storia e la cultura giapponese andrebbero, dunque, affrontati ( e questo blog ci prova) nel loro specifico contesto senza assumere il mondo occidentale come unico termine di paragone , evitando pregiudizi , luoghi comuni tipici della nostra mentalità e, soprattutto, interpretazioni superficiali e banali.
Tra i primi anni del 500 e la metà 800, gli europei costituivano in Asia una presenza marginale tanto dal punto di vista numerico quanto della forza di influenza, non avendo gli strumenti per cambiare la relazione di inferiorità che avevano col mondo orientale. A partire dalla metà del XIX secolo, invece, la situazione si capovolse rapidamente e in una stagione intensa ma breve l'Europa finì per dominare l'Asia. Tale stagione di conquista europea fu legata alla rivoluzione industriale che dotò gli europei di quegli strumenti di controllo economico e di superiorità militare, permettendole così la forzatura e l'apertura delle realtà asiatiche.Inoltre, convincendosi della superiorità del loro sistema politico ed economico, gli europei finirono per credersi superiori agli orientali in quanto esportatori di un superiore modello politico, sociale ed economico.
E' proprio in questo periodo che nasce ,infatti, il mito dell' "uomo"
Di conseguenza noi siamo abituati a pensare alla trasformazione del mondo, sia in positivo che in negativo, come una nostra responsabilità. Anche quando critichiamo l'imperialismo occidentale, inconsciamente, lo facciamo nella prospettiva che noi siamo i superiori, i dominatori. D' altra parte ,si è comunque sviluppata di recente una storiografia "orientale" che pone l'analisi dell'Asia non sotto un ottica occidentale, europea, ma sotto un'analisi che osserva le fasi specifiche della storia dei paesi asiatici.
Ciò non toglie il fatto che l'Eurocentrismo abbia lasciato la sua impronta tanto nella storiografia quanto, soprattutto, nella cultura occidentale.I residui di un tale impatto si possono, per esempio, osservare in espressioni, convinzioni e pregiudizi della nostra quotidianità. Per esempio,nel momento in cui indichiamo i giapponesi come abili imitatori ed emulatori per giustificare il loro progresso tecnologico, implicitamente non riconosciamo una loro effettiva capacità di cogliere, da soli, i princìpi della meccanica e, magari, li consideriamo persino plagiari della "tecnica" occidentale. Per lo stesso motivo, si sono sviluppati in occidente tutta una serie di luoghi comuni (per esempio quello del paradosso della "convivenza della modernità con la tradizione" )che non fa altro che contribuire a darci una visione distorta del Giappone.
La storia e la cultura giapponese andrebbero, dunque, affrontati ( e questo blog ci prova) nel loro specifico contesto senza assumere il mondo occidentale come unico termine di paragone , evitando pregiudizi , luoghi comuni tipici della nostra mentalità e, soprattutto, interpretazioni superficiali e banali.
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