sabato 26 aprile 2008

Okuninushi e la lepre di Inaba

Tra le numerose divinità del pantheon shintoista, una delle più popolari è Okuninushi (letteralmente, "Signore della grande terra"), dio dell'abbondanza, della medicina, della magia e dei matrimoni felici; é conosciuto anche con altri nomi, come quello giovanile di Onamuchi o quelli più avanzati di Yachihoko ("ottomila lance") e di Ashiharashiko, entrambi indicativi della sua forza e del suo potere; figlio del dio del mare e delle tempeste Susanoo e della principessa Kushinada, che il padre aveva salvato dalle grinfie del drago Yamata no Orochi, Okuninushi fu, secondo il mito, l'ultimo sovrano della provincia di Izumo (oggi parte della prefettura di Shimane, nell'Honshu sud-occidentale), prima di essere sostituito da Niniji, l'iniziatore dell'attuale dinastia imperiale degli Yamato. Tuttavia, prima di diventare sovrano di Izumo, il figlio di Susanoo visse varie avventure che misero in evidenza le qualità che lo distinsero dagli altri protagonisti della mitologia giapponese.

Esemplare è l'episodio della lepre di Inaba. Questo animale, nel tentativo di ingannare un coccodrillo per passare dall'isola di Oki a quella di Onshu, era finito scuoiato vivo e aveva chiesto aiuto a dei giovani che passavano da quelle parti: si trattava degli ottanta fratelli di Okuninushi, i quali si stavano recando dalla principessa Yakami di Inaba, con l'intento di sposarla. Vedendo la lepre agonizzante, essi le suggerirono di bagnarsi nell'acqua di mare e di esporsi al vento ma, così facendo, la pelle si piegò tutta, procurando ulteriori sofferenze allo sventurato animale. Fu allora che giunse sul posto il nostro eroe che aiutò la creatura, invitandola a sciacquarsi alla foce di un fiume per poi cospargersi la pelle di pollini. In questo modo, la pelle tornò come prima e l'animale riacquistò le sue vere fattezze divine: era, infatti, la candida e sacra lepre di Inaba, un kami, uno spirito il quale, in sego di gratitudine, predisse a Okuninushi che la principessa Yakami avrebbe sposato solo lui, respingendo le proposte dei suoi fratelli. La profezia si avverò, ponendo così le premesse per le nuove avventure del futuro signore di Izumo.

Trovo affascinante questa storia per i significati profondi che può assumere a seconda delle chiavi di lettura a cui viene sottoposta. Credo, in particolare, che si tratti un aneddoto sul confine sottile che separa l'apparenza dalla realtà: il messaggio del racconto sarebbe quello di non giudicare gli altri per quello che sembrano in quanto, a una prima occhiata, è impossibile capire quali immensi poteri nascondano. Il mito, secondo un concetto utilitaristico, vorrebbe, in pratica, invitare ciascuno ad aiutare anche chi non sembra importante. In questo senso, gli ottanta fratelli rappresenterebbero il punto di vista di gran parte della società che considera privo di importanza chi appare piccolo e debole (in questo caso, la lepre scuoiata), facendosi gioco della sua condizione. Al contrario, Okuninushi sarebbe colui che offre aiuto a chiunque glielo chieda, dando prova di una generosità disinteressata che finisce, comunque, per essere premiata.

venerdì 18 aprile 2008

Kagemusha 影武者


Mostrando uno scorcio del Giappone del periodo Azuchi-Momoyama (1568-1598), il regista Akira Kurosawa dedica il film Kagemusha, l'ombra del guerriero (1980) a uno dei più famosi capi politici e militari del XVI secolo, Takeda Shingen (1521-1573). L'azione si svolge in un epoca di guerre civili tra signori feudali (i cosiddetti dimyo), alcuni dei quali miravano a unificare il Paese sotto il proprio vessillo. Shingen è, appunto, uno di questi convinti fautori dell'unificazione nazionale ma, durante un'assedio, viene ferito mortalmente da un colpo di archibugio. Su suggerimento del fratello Nobukado e per volontà dello stesso Shingen, si mantiene segreta la scomparsa del leader dei Takeda, sostituendolo temporaneamente con un kagemusha (un uomo-ombra, cioè un sosia), al fine di non demoralizzare le truppe e ingannare il nemico. Inizialmente, il kagemusha, essendo un ladro, assolverà al suo compito per mera convenienza, senza nascondere la sua natura, ma finirà poi per identificarsi totalmente nel personaggio assumendone la personalità e perdendo la propria identità. Dopo essere stato smascherato e scacciato, il sosia non riuscirà più a staccarsi dal "suo" clan anche quando questo verrà annientato nella storica battaglia di Nagashino (1575): lui stesso rimarrà vittima dello scontro, tentando di proteggere il "suo" stendardo.

In questa amara parabola sull'illusione della vita e la caducità delle cose umane, il regista fonde la tradizione letteraria europea (in particolare, Shakespeare) e quella medievale giapponese (citando, per esempio, il poema epico duecentesco Eike Monogatari) con l'astrattezza del teatro No. Inoltre, reinventando liberamente la vicenda del kagemusha di Shingen, Kurosawa ricostruisce fedelmente i personaggi e gli avvenimenti che hanno segnato la storia del Giappone moderno: Oda Nobunaga (1534-1582), il grande avversario dei Takeda, noto come il primo unificatore del Paese; Tokugawa Ieyasu (1543-1616), fondatore di quella dinastia che governerà l'arcipelago per più di due secoli; e, naturalmente, la battaglia di Nagashino (avrò modo di parlarne in seguito), di cui il regista mostra solo l'inizio e la fine, lasciando immaginare il resto allo spettatore, attraverso il sonoro e le reazioni dei protagonisti.

Vincitore della Palma d'oro al Festival Cannes nel 1982, Kagemusha è, a mio parere, uno dei migliori film storici mai realizzati: azzeccatissime, in particolare, le scene che mostrano un Nobunaga fanatico dell'occidente benedetto da un padre gesuita e deliziato dal vino "straniero"; Visualmente straricco di effetti cromatici, è brillantissimo anche nelle sequenze epiche (non per niente è stato prodotto da Francis Ford Coppola e da Geoge Lucas)...Insomma, un film che consiglio a tutti.

martedì 8 aprile 2008

Yojimbo 用心棒


Meglio conosciuto in Italia come La sfida del samurai (ma letteralmente significa "La guardia del corpo"), Yojimbo (1961) è una sorta di parodia dei tradizionali film in costume giapponesi ("Jidai geki"), nonché un'originale rivisitazione del western hollywoodiano da parte di Akira Kurosawa (1910-1998). Questo film si svolge in epoca Tokugawa (1603-1867), l'età del Giappone popolato dai samurai senza padrone e privi di un impiego stabile (i cosiddetti "ronin") che vagavano senza una meta precisa alla ricerca di qualcuno a cui vendere i propri servigi. Il protagonista di Yojimbo (interpretato da Toshiro Mifune) è appunto Sanjuro (ovvero "Trent'anni", un modo per dire Nessuno), uno di questi ronin. Il samurai capita, per caso, in un villaggio insanguinato dalla guerra tra due clan rivali, ciascuno dei quali vorrà servirsi della sua abilità con la spada per avere finalmente la meglio sull'avversario. Intanto, Sanjuro, attraverso le armi dell'astuzia e del doppio gioco, cercherà di logorare entrambe le fazioni, passando ora al servizio dell'una, ora dell'altra. Ma sotto il suo cinismo e la sua crudeltà, paragonabili a quelli dei due contendenti, si cela, in realtà, lo spirito eroico e cavalleresco del guerriero antico che porterà il samurai a difendere una giovane donna a rischio della sua stessa vita.

Yojimbo è, insomma, un film d'azione impregnato di violenza e di umorismo sarcastico che, nell'intenzione del regista, si propone di raccontare in chiave ironico-grottesca la lotta tra bande di yakuza che dominano sia sugli schermi che nella vita dei giapponesi. Questo film avrà un seguito in Sanjuro (1962), mentre dalla sua trama Sergio Leone ricaverà il famoso western Per un pugno di dollari (1964), venendo per questo accusato di plagio dalla casa produttrice Toho. L'opera di Kurosawa non ha, comunque, nulla da invidiare al remake italiano, distinguendosi da esso per la sua sottile ironia e la sua raffinata stilizzazione.

mercoledì 2 aprile 2008

Rashomon 羅生門


Dopo aver parlato molto di storia, inauguro oggi la nuova etichetta del cinema, dedicando il suo primo articolo a uno dei più famosi film di Akira Kurosawa (1910-1998). Sto parlando di Rashomon (1950), film drammatico che fece conoscere non solo il regista, ma anche il cinema giapponese in tutto il mondo, vincendo il Leone d'oro al Festival di Venezia nel 1951.

Rashomon è tratto da due brevi rekishi mono (racconti storici) dello scrittore giapponese Ryunosuke Akutagawa (1989-1927), ambientati rispettivamente nel Giappone antico del periodo Heian (794-1185) e in quello medievale: Rashomon (ovvero, "La porta di Rasho", a Kyoto), pubblicato nel 1921 su una rivista dell'Università di Tokyo; e Yabu no naka (Nel bosco), uscito nel 1921 e considerato il capolavoro della sua produzione.

Il film si svolge probabilmente durante il XV secolo e inizia con l'incontro tra un boscaiolo, un monaco e un passante sotto il portico di un tempio dedicato al dio Rasho, dove questi avevano trovato riparo dalla pioggia; la loro conversazione rievoca il caso di un bandito (Toshiro Mifune) messo sotto processo per aver ucciso un samurai (Masayuki Mori) e per averne violentato la moglie (Machiko Kyo). L'accaduto era stato raccontato in maniera diversa dai suoi protagonisti (perfino dal samurai defunto, evocato da una maga): infatti, ciascuno di loro aveva dato una personale versione dei fatti, cercando di salvare il proprio onore e facendo cadere la colpa sugli altri due. Da una quarta versione, quella del boscaiolo, unico testimone esterno della vicenda, risulterà poi che tutti e tre si erano comportati in modo disonorevole. Rashomon è quindi una parabola sulla relatività della verità, che denuncia il male e l'egoismo presenti in tutti gli uomini, pur lasciando, alla fine, un messaggio di speranza e di umanità.

Questo film costituisce senz'altro un capolavoro del cinema nipponico che non stanca mai e che si muove a un ritmo incalzante. E' difficile credere che non sia stato subito apprezzato in Giappone.