martedì 26 febbraio 2008

Quando si parla di kamikaze

Leggendo quotidiani o ascoltando radio e televisione, non posso fare a meno di notare, oltre alle banalità che continuamente ci propongono, la confusione che i media contribuiscono a creare nell'opinione pubblica. Per esempio, mi viene in mente quando trattano il fenomeno drammatico e, per certi versi, incomprensibile di credenti nell'Islam, che mirano a fare il maggior numero di vittime, soprattutto tra i civili, attraverso attentati suicidi.

Ora, a questi assassini, viene impropriamente attribuito il nome di "kamikaze" con riferimento ai piloti suicidi giapponesi della Seconda Guerra Mondiale, conosciuti anche come Shinpu Tokubetsu Kogekitai, o "Forze speciali di attacco del vento divino", che si lanciavano con aerei o mini sottomarini contro le navi americane. Bisogna sapere che questi piloti prendevano il loro nome dagli uragani che, nel 1281, contribuirono a salvare il Giappone dalle invasioni mongole, distruggendo gran parte della flotta inviata dal nipote di Genghis Khan, Kublai. Tali venti provvidenziali, battezzati shinpu o kamikaze (letteralmente "vento divino"), rafforzarono nei giapponesi la convinzione che il proprio paese fosse sacro e inviolabile, in quanto godeva della protezione dei kami, gli dei. Non a caso, il nome kamikaze venne rinnovato sei secoli più tardi , riferendosi a quei piloti che, di fronte a una nuova invasione (quella americana), sacrificarono la propria vita per la stessa causa, ovvero la salvezza della Nazione.

Questo termine è, perciò, del tutto inadatto ad indicare il fenomeno dei combattenti suicidi islamici, in quanto si riferisce a un contesto storico-culturale e a situazioni del tutto diverse: i giapponesi, in fondo, agivano contro altri militari nell'ambito di una guerra "regolare" mentre i combattenti islamici colpiscono civili generalmente in un contesto che definiamo terrorismo, o "guerra non convenzionale". Nell'ultimo caso è quindi più appropriato parlare di Shaid, termine arabo traducibile con "testimone" o "martire" e inquadrabile nella Jihad (Guerra Santa). Va, infine, ricordata un'altra vistosa differenza tra i guerriglieri di Al Qaeda e i kamikaze nipponici: i primi credono che grazie ai loro atti possono risorgere in Paradiso, ovvero la dimensione reale descritta dal Corano; i secondi, invece, non si aspettavano affatto, dopo la morte, una vita in cui il loro sacrificio venisse premiato, ma di rinascere come spiriti presso il tempio dei caduti di Yasukuni Jinja (foto), a Tokyo, da cui continuare a vegliare sul destino e sulla rinascita collettiva del Paese.

martedì 19 febbraio 2008

Lo shogunato Minamoto


Erede di un'importante famiglia guerriera, discendente da un ramo collaterale della stirpe imperiale, Minamoto Yoritomo (1147-1199) fu un personaggio di grade rilievo nella storia giapponese. Nel 1185, dopo aver sconfitto la famiglia rivale dei Taira, che avevano dominato la sfera politica dell'arcipelago per tutto il ventennio precedente, Yoritomo emerse, infatti, come il più potente capo militare del Giappone alla guida di un'estesa coalizione di guerrieri provinciali. Il suo avvento segna una fase decisiva, se non definitiva, di un processo di transizione del potere dall'aristocrazia di corte alla classe militare che si era sviluppata attorno alle potenti famiglie dei signori delle province. Una di queste famiglie era, appunto, quella dei Minamoto che, sotto Yoritomo, creò un nuovo centro di potere legittimato dalla corte imperiale ma sostitutivo ed alternativo ad essa. Si tratta del bakufu, "governo della tenda", ovvero un governo militare a carattere nazionale con sede a Kamakura, località vicino all'attuale Tokyo, e presieduto da un capo guerriero, detto shogun. Tale titolo indicava la suprema autorità militare e veniva attribuito provvisoriamente ai generali in tempo di guerra ma, a partire da Yoritomo, che lo ricevette dall'imperatore Go Toba nel 1192, esso divenne permanente ed ereditario.

Il governo di Kamakura consisteva in una rete di rapporti tipicamente feudali fondati sul vincolo signore-vassallo, che legava Yoritomo ai cavalieri-signori provinciali. Questo rapporto si basava sulla fedeltà incondizionata e personale che le casate militari, in qualità di "vassalli" o "gentiluomini" (gokenin), dovevano prestare allo shogun, in cambio di possedimenti terrieri e cariche amministrative. Molti vassalli ebbero, per esempio, la carica di jito ("amministratore") con l'incarico di raccogliere le imposte nelle varie province del Giappone. I jito erano poi organizzati sotto la supervisione degli shugo ("governatore militare" o "protettore"), ovvero dipendenti dello shogun deputati a svolgere compiti di sorveglianza, ma di fatto anche incarichi amministrativi. Attribuendo le cariche di jito e shugo a uomini a lui fedeli, Yoritomo poté esercitare un controllo abbastanza diretto su gran parte del Giappone, riducendo, allo stesso tempo, quello della corte imperiale.

Tuttavia questo sistema, alla lunga, si sarebbe rivelato poco efficace in quanto faceva totale affidamento sulla fedeltà dei vassalli allo shogun e dipendeva dal forte carisma personale di Yoritomo, nonché dalla sua abilità politica nel mantenere le alleanze. Invece, dopo la sua morte nel 1199, non ci furono Minamoto idonei alla successione: i due figli di Yoritomo, Yoriie e Sanetomo, entrambi shogun per un breve periodo, non furono in grado di gestire l'eredità paterna e controllare l'ondata di intrighi e omicidi per il potere. Infatti, furono vittima di un complotto ordito dalla famiglia degli Hojo, tutrice di Yoritomo, che riuscì a sopprimere i Minamoto e a subentrare nel controllo del governo di Kamakura come reggente di uno shogun divenuto ormai puramente simbolico.

martedì 12 febbraio 2008

Il titolo di shogun

Il termine seii tai shogun, o semplicemente shogun, significa propriamente "grande generale conquistatore dei barbari" e tende a indicare quella carica che, tra l'VIII e il XII secolo, il governo imperiale conferiva provvisoriamente ai generali inviati a combattere le popolazioni ribelli delle frontiere nord-orientali del paese.
Quello di shogun era, in pratica, un titolo che ricevevano i capi più meritevoli per fronteggiare le tribù seminomadi dell'Honshu settentrionale, gli emishi o ezo (antenati degli attuali ainu), considerate barbare e causa di disordine politico. Infatti, queste popolazioni contrastavano la diffusione della cultura sedentaria e agraria, rappresentando, quindi, una minaccia per l'autorità imperiale, che da tale cultura si era sviluppata.

La carica di shogun cominciò, poi, ad assumere un significato diverso, quando l'Imperatore Go Toba la assegnò nel 1192 a Minamoto Yoritomo, membro di un ramo cadetto della famiglia imperiale, nonché l'uomo più potente nel Giappone dell'epoca. La novità di tale assegnazione consisteva nel fatto che, da quel momento, designava non più solo il generale provvisorio dell'esercito imperiale, ma anche il titolare permanente di un potere politico, che fino ad allora era stato esercitato esclusivamente dalla dinastia regnante e dai suoi reggenti (come nel caso dei Fujiwara).

Così, dal momento che Yoritomo poteva trasmettere il titolo di shogun all'interno della sua famiglia, vennero gettate le basi di una nuova forma di governo che sarebbe durata fino alla seconda metà del XIX secolo. Si tratta del bakufu, o "governo della tenda", un'istituzione militare a carattere nazionale presieduta, appunto, dallo shogun. Detto anche shogunato, il bakufu operò, inizialmente, in equilibrio con la corte imperiale, la quale garantiva la sua legittimità. Ne derivò una diarchia: da una parte c'era lo shogun, il detentore del potere militare; dall'altra, l'imperatore, fonte di legittimazione di tale potere in virtù del prestigio e della sacralità di cui godeva.

Ciononostante, lo shogun avrebbe finito, in seguito, per esercitare il potere effettivo e il controllo reale sulla nazione, mentre l'imperatore avrebbe, si, conservato la propria funzione sacerdotale ma perso il suo ruolo politico, occupando invece una posizione marginale nella gestione dello Stato.

lunedì 4 febbraio 2008

Yamato Takeru 日本武尊


Con la denominazione "Yamato Takeru", che significa "Eroe del Giappone", la tradizione giapponese indica un principe semi leggendario, vissuto presumibilmente nel IV-V secolo d.C.. Prototipo dell'eroe giapponese, il Principe Takeru è collocato dai poemi epici in pieno Periodo Kofun (300 d.C.-538 d.C.), l'età dell'ascesa del clan Yamato (la famiglia imperiale) e del processo di unità nazionale sotto il suo dominio. Quindi, se considerato come personaggio storico, il Principe Takeru va probabilmente identificato con uno degli strateghi più abili al servizio dell'imperatore regnante in quel periodo. Yamato Takeru resta comunque il protagonista di una celebre leggenda raccontata dalle cronache del Kojiki e del Nihon Shoki, entrambe composte nell'VIII secolo d.C.. Questi poemi epici , pur non essendo affidabili come narrazioni di fatti storici, costituiscono comunque testimonianze interessanti sulla vita del Giappone antico, descrivendolo come un mondo dominato da violenza, brutalità ed azioni istintive.

In particolare, il Kojiki narra che Yamato Takeru fu in realtà il Principe Wousu, secondo di due gemelli nati dall'Imperatore Keiko. Sempre secondo il mito, Wousu uccise e fece a pezzi il fratello per aver mancato di rispetto al padre, non sedendosi mai con loro a corte al momento del pasto, come voleva invece una consuetudine. Questo gesto, indice di un temperamento violento e impetuoso (ma anche di una certa fedeltà nei confronti del padre), preoccupò l'imperatore a tal punto da allontanare il figlio, inviandolo a combattere, privo di scorta, i popoli ribelli e i regni che non volevano sottomettersi a lui.

Spinto dalla stessa dedizione e violenza che lo avevano indotto a uccidere il fratello, il Principe Wousu portò a termine con successo le missioni che gli affidava il padre, vincendo tanto con la forza, quanto con l'inganno: per esempio, si travestì da donna per uccidere i ribelli fratelli Kumaso; oppure, tradì l'amicizia stretta con il rude Izumo colpendolo a morte in duello dopo avergli sostituito la spada con una finta di legno. Sarà proprio in seguito a queste sfide che Wousu riceverà il soprannome di Yamato Takeru.

Tuttavia, malgrado le sue vittorie, al principe non vennero concessi ne onori ne riposo perché, alla fine di ogni fatica, suo padre lo inviava subito a sottomettere nuove tribù. Obbiettivo del sovrano era infatti quello di mettere il coraggio del figlio al servizio dei propri scopi, nonché quello di tenere lontana una possibile futura minaccia. Da qui si delinea la drammaticità della figura di Takeru che, pur soffrendo a causa dell'atteggiamento cinico del padre, non smise mai di dimostrare la sincera obbedienza e la profonda fedeltà che nutriva verso di lui. Continuò perciò a battersi senza sosta contro nemici sempre più potenti (ormai vere e proprie divinità) fino a morire dallo sfinimento. Solo allora l'Imperatore, pentendosi di quello che aveva fatto, riconobbe il valore e la fedeltà del figlio.

Yamato Takeru risulta essere quindi un eroe tragico, uno sconfitto, mai appagato dagli eventi e destinato a morire solo, senza aver mai raggiunto una meta. Resta comunque un personaggio emblematico e pieno di fascino dato che non sembra neanche rendersi conto delle sue debolezze, celandole sotto l'esercizio della forza.