domenica 25 maggio 2008

L'egemonia dei Fujiwara 藤原


Per introdurre il periodo Heian (794-1185), ovvero quello che segnò il passaggio dal Giappone antico a quello propriamente feudale, volevo prima parlare del potente clan Fujiwara, che proprio in quel periodo raggiunse il suo apogeo. I Fujiwara erano i discendenti di Nakatomi Kamatari, uno dei due leader del colpo di Stato del 645 che pose fine a lungo dominio del clan Soga. Da quel momento ebbe inizio la lenta e progressiva ascesa al potere della famiglia Fujiwara, divenuta col tempo protagonista indiscussa degli intrighi che sconvolgevano allora la Corte imperiale; infatti, come era già avvenuto per i Soga qualche secolo prima, essa riuscì a conquistare una posizione politica ed economica preponderante grazie, in particolare, a un'abile pianificazione di matrimoni organizzati per le sue figlie che spesso diventavano consorti imperiali: già nel periodo Nara (710-794), per esempio, l'imperatrice Koken era di madre Fujiwara così come numerosi altri sovrani nel corso dei tre secoli successivi. Esemplare fu il caso di Fujiwara Michinaga (966-1027), che, durante il periodo di massimo splendore per il proprio clan, fu padre di quattro donne divenute consorti imperiali e nonno di ben tre imperatori (inutile dire quanto questo fatto influisse sulla sua egemonia).

Accanto alla consuetudine di dare i natali a molti imperatori, i discendenti di Nakatomi emersero dalle lotte per il potere anche grazie al fatto di riuscire a farsi conferire importanti cariche della burocrazia statale. Decisivo per la loro ascesa al potere fu il ruolo svolto dal capo clan Fujiwara Yoshifusa (804-872), che, nell'858, insediò al trono imperiale un suo nipote di soli 7 anni e, nell'866, ottenne la più alta carica conseguibile a Corte, quella di reggente imperiale (sessho), fino ad allora ricoperta solo dai membri della stirpe regnante. Yoshifusa mantenne poi la reggenza anche dopo che il sovrano uscì di minorità, una pratica, questa, assolutamente inconsueta e irregolare. Il suo esempio fu poi seguito dal figlio adottivo Fujiwara Mototsune (836-891) il quale fece creare per sé la nuova e più importante carica di Kampaku, o di cancelliere, che gli permise in pratica di essere reggente di un imperatore adulto.

In seguito a queste vicende, i Fujiwara gettarono le basi per un governo duraturo, riuscendo a mantenere stretti rapporti familiari con l'istituto imperiale, nonché il monopolio sulle cariche di sessho e di kampaku per circa tre secoli (dall'858 al 1160). Durante questo periodo, detto appunto Fujiwara, la potente famiglia aristocratica esercitò (pur con qualche interruzione) una supremazia incontrastata che le permise di porre la stessa famiglia imperiale sotto il proprio controllo. Tale dominio divenne poi ancora più onnipotente e a tratti dispotico a partire dal 967, sotto la guida del già citato Michinaga che inaugurò quello che gli studiosi chiamano sekkan seiji, o "governo dei reggenti".

venerdì 16 maggio 2008

Sukiyaki Western Django 鋤焼欧米のジャンゴ

Tanto per "sdrammatizzare" un po' questo blog, forse pieno di argomenti eccessivamente seri, ho pensato di parlare di un film che mi è capitato di vedere alla scorsa edizione del Festival del Cinema di Venezia, Sukiyaki Western Django. Si tratta di un western giapponese diretto da Takashi Miike (Osaka, 24 agosto 1960), regista molto prolifico (ha praticamente sfornato un film ogni uno-due anni), ma probabilmente ancora poco conosciuto in Italia, al di fuori dei suoi fans.

Rifacendosi liberamente al "Yojimbo" di Akira Kurosawa, il film è ambientato in uno sperduto e indefinito villaggio giapponese, dove si svolge uno scontro epocale tra due fazioni rivali: la gang vestita di bianco dei Genji, guidata dal cinico samurai Yoshitsune, e quella vestita di rosso degli Heike, guidata dallo stravagante e irruente Kiyomori. A turbare il già precario equilibrio del villaggio, contribuirà l'arrivo di un misterioso straniero senza nome, molto abile nell'uso delle armi, disposto a schierarsi con l'uno o l'altro gruppo, allo scopo di eliminare entrambi. La vicenda è poi arricchita da rivelazioni, colpi di scena e, naturalmente, dai luoghi comuni del genere western, che vanno dal pestaggio rituale dell'eroe al duello finale. Il tutto viene preceduto da un prologo molto teatrale, che mostra un inedito narratore quale Quentin Tarantino nei panni del pistolero Pirringo (crasi di Pierrot e Ringo), all'interno di un paesaggio astratto e visibilmente finto.

Fondendo i Western americani e all'italiana con la tradizione nipponica, Miike ha creato un vero e proprio ibrido transculturale che, pur avendo dei precedenti, potrebbe costituire il primo esemplare di un genere cinematografico completamente nuovo, il "Sukiyaki western" (dal nome di un tipico piatto giapponese a base di manzo e tofu), qualcosa di analogo ai nostri "Spaghetti western", per intenderci. Inoltre, come nel sukiyaki sono presenti i più vari ingredienti, in questo film troviamo di tutto: dai riferimenti storici sui clan Taira (gli Heike) e Minamoto (i Genji) e sulla celebre battaglia di Dannoura (1185), ai caratteri del Chambara (il filone dei film di cappa e spada nipponici), fino all'inserto "anime"; dai rimandi a Shakespeare, alle citazioni dei western di Leone e Corbucci fino alle rievocazioni del "Signore degli Anelli" di Jackson. Nel complesso, si tratta insomma di una specie di minestrone, un vero e proprio sukiyaki, in cui l'erudito e il raffinato si incontrano col demenziale, a tal punto che è difficile distinguerne i confini.

venerdì 9 maggio 2008

Breve introduzione ai bakemono 化け物

Il termine bakemono tende a indicare quelle schiere molto indefinite ed eterogenee di demoni giapponesi, che includono diverse specie di diavoli ed esseri malvagi, ma anche gli spiriti degli umani, degli animali e persino degli alberi e degli oggetti inanimati. I bakemono (anche detti obake) sono, appunto, i mostri, gli spettri o, meglio ancora, "i mutanti", chiamati così perché, nella maggior parte dei casi, mutano il proprio aspetto.

In Giappone, le storie di fantasmi, a differenza di quanto avviene in Occidente, non sono invernali ma tipicamente estive: infatti, è proprio in piena estate che gli spettri giapponesi vengono ricordati. Peraltro, tra luglio e agosto si svolge in Giappone il festival annuale Obon , la famosa celebrazione buddhista dei morti che dura circa un mese, durante il quale le famiglie ricevono le anime dei loro antenati, ponendo offerte di cibo davanti agli altari domestici. Alla fine di questo periodo breve ma intenso, le anime vengono nuovamente allontanate e viene quindi celebrata la loro espulsione: infatti, il culto giapponese degli antenati è interessato anzitutto all'eliminazione dell'impurità che il morto implica e, soprattutto, a mandare gli antenati per la loro strada. Perciò, l'Obon, non è tanto una celebrazione degli avi, quanto piuttosto una celebrazione del loro allontanamento dai vivi.

A parte gli spiriti dei parenti defunti (eccetto gli yurei, le anime di uomini morti senza aver prima concluso il proprio compito, solitamente vendette per torti subiti), tutti gli altri bakemono non rientrano nel rito Obon. Della vasta e variegata categoria degli obake, infatti, fanno parte anche gli spiriti di animali; si tratta per lo più di volpi (kitsune) che potevano costituire entità benevoli, come nel caso dei messaggeri di Inari, dio del riso e della prosperità, ma anche demoni (yokai) infidi e ingannevoli, in grado di assumere sembianze umane (in particolare femminili), presagire catastrofi e perfino possedere le proprie vittime. Ci sono poi molte altre creature, buone e malvagie, che popolano i miti e le favole giapponesi, interagendo spesso con eroi leggendari o realmente esistiti. Per citarne giusto alcune, ricordo: gli oni, orchi con le corna che si nutrono di carne umana; i kappa, esseri simili a rospi che vivono nei fiumi e nei ruscelli più remoti, insidiando chiunque si addentri nelle loro acque; e i tengu, creature alate che abitano le foreste. Questi ultimi sono talvolta raffigurati con un tozzo becco, ma spesso hanno una feroce faccia scarlatta e un enorme naso. La benevolenza del tengu dipende essenzialmente dalla moralità di chi lo vede: una leggenda narra, per esempio, come Minamoto Yoshitsune, valoroso eroe militare del XII secolo, fosse stato educato nell'arte della spada da un vecchio e saggio tengu incontrato nella foresta.

In generale, i bakemono sono frutto della commistione di elementi folcloristici buddhisti e di credenze autoctone shintoiste (basti pensare ai numerosi kami, divinità, dei miti ancestrali). Le leggende che li riguardano, talvolta di origine cinese (poi adottate e rielaborate dal credo shintoista), furono la principale ispirazione del teatro No; le storie erano poi state scritte in appositi libri di racconti e raffigurate in incisioni su legno. Tra i principali autori, ricordiamo Katsushita Hokusai (1760-1849) e Ueda Akinari, ma lo scrittore più famoso di questo genere letterario è probabilmente l'europeo Lafcadio Hearn (1850-1904), ancora molto apprezzato in Giappone e conosciuto con il nome giapponese acquisito di Koizumi Yakumo. A lui va attribuito il merito di aver riscritto vecchie storie di spettri e leggende popolari, alcune delle quali erano state tramandate fino ad allora solo oralmente.

giovedì 1 maggio 2008

Okuninushi e Susanoo

Come gli era stato predetto, Okuninushi venne scelto come marito dalla principessa Yakami di Inaba, a scapito dei suoi 80 fratelli che, invece, erano stati respinti. Questi ultimi, quindi, invidiosi e furiosi, si accordarono tra di loro per ucciderlo; essi riuscirono più volte nel loro intento, facendogli rotolare addosso un masso infuocato a forma di cinghiale e, in una seconda occasione, colpendolo a morte mentre era incastrato in un albero. Tuttavia, in entrambi i casi, Okuninushi venne resuscitato dalla madre che lo indusse a fuggire, per evitare la collera dei fratelli; si recò quindi nella "dura terra delle radici", dove abitava il maestoso Susanoo, a cui avrebbe potuto chiedere aiuto. Raggiunta la dimora di questo dio, il nostro eroe si imbatté nella figlia, la principessa Suseri e i due si innamorarono al primo sguardo. Susanoo ne fu indignato e decise, allora, di mettere alla prova il pretendente, sottoponendolo a una serie di sfide mortali, che Okuninushi riuscì comunque a superare grazie all'aiuto della stessa Suseri. Dopo vari tentativi di eliminarlo, Susannoo gli ordinò, infine, di togliergli i pidocchi dalla testa (piena, in realtà, di millepiedi velenosi). Durante quell'ennesima prova, il dio si addormentò e Okuninushi ne approfittò per legargli i capelli alle travi del tetto e fuggire, privandolo della principessa Suseri, nonché delle potenti armi e della cetra magica. Così, quando Susanoo, svegliato all'improvviso dal suono accidentale dello strumento, tirò giù la stanza prima di sciogliere i capelli dalle travi, i due amanti erano ormai lontani. A questo punto, il dio finì per approvare Okuninushi e la sua scelta di sposare sua figlia e fondare con lei un nuovo regno; inoltre, gli consigliò di usare le armi rubate per annientare i propri fratelli.

In questo modo, Okuninushi divenne il sovrano della provincia di Izumo, regione che avrebbe ceduto poi ai discendenti della dea del Sole Amaterasu, ottenendo, in compenso, il governo del mondo invisibile degli spiriti e della magia, dando origine a un proprio culto. Infatti, egli viene venerato ancora oggi al Gran Santuario Izumo Taisha (originariamente dedicato a Susanoo). Si tratta del più antico tempio shintoista al mondo; in esso si celebra lo spirito dell'unione e del compromesso che Okuninushi rappresenta, in quanto simbolo dell'unione dei due potenti clan del Giappone antico, quello degli Izumo e quello degli Yamato. Inoltre, egli viene considerato il "Celestiale Mediatore dei Matrimoni" e gli si rivolgono preghiere per ottenere la felicità nell'amore e nel matrimonio o per garantire l'armonia familiare.