martedì 22 settembre 2009

Tensho ken-O shonen shisetsu 天正遣欧少年使節


Durante la seconda metà del XVI secolo, il Giappone stava vivendo una trasformazione epocale: la divisione territoriale e l'anarchia militare che lo caratterizzavano fin dalla guerra Onin (1447-1477) stavano lasciando il posto alla riappacificazione e alla riunificazione del Paese sotto un unico legittimo centro di potere. Il primo fautore di questo processo fu il signore della guerra (daimyo) Oda Nobunaga (1534-1582) che già dal 1568, anno in cui fece il suo ingresso trionfale a Kyoto, era di fatto l'uomo più potente del Giappone. Allo scopo di estendere il suo potere e limitare al contempo quello dei suoi nemici, Nobunaga, tra l'altro, protesse e favorì la Compagnia di Gesù e la recente Cristianità giapponese da lei promossa. I gesuiti, presenti nell'arcipelago fin dal 1549 a fianco dei mercanti portoghesi, ai quali era "riservato" il commercio in Giappone (in base al Trattato di Tordesillas del 1494), detenevano inoltre una sorta di monopolio per la conversione cattolica di quel paese. E' in un tale clima che ebbe origine un fatto oggi poco conosciuto: mi riferisco alla prima missione diplomatica giapponese in Europa; in questo articolo ne illustrerò sinteticamente le cause, i protagonisti, e lo svolgimento complessivo.

Innanzi tutto, questa ambasceria fu voluta e organizzata dal gesuita italiano Alessandro Valignano (1539-1606), presente in Giappone fin dal 1579 in qualità di Visitatore delle Indie Orientali, al fine di raggiungere scopi ben precisi. In primo luogo, il missionario voleva inviare legati giapponesi in Europa per porre fine al diffuso scetticismo dei giapponesi, i quali credevano che i gesuiti affrontassero grandi insidie per arrivare in un paese povero, pericoloso e potenzialmente ostile come il loro, principalmente per sfuggire a una realtà europea che doveva essere perfino peggiore; il Valignano intendeva perciò far toccare con mano ai giapponesi lo splendore del Vecchio Continente e dimostrare loro che esso non aveva nulla da invidiare (anzi!) al Giappone. In secondo luogo, la delegazione doveva alzare le quotazioni dei gesuiti presso il papa, ponendo davanti agli occhi del pontefice dei nuovi convertiti provenienti da terre lontane proprio in un periodo in cui buona parte dell'Europa era passata alla causa protestante. Di conseguenza, il Valignano si aspettava dalla corte romana sostanziali aiuti finanziari per le missioni gesuitiche e, cosa ancora più importante, un breve papale che rinnovasse il monopolio della Compagnia in Giappone.

L'ambasceria è anche conosciuta in giapponese come Tensho shonen shisetsu; essa deve il suo nome al periodo in cui ebbe luogo (l'era Tensho, appunto: tra il 1573 e il 1591) e alla giovane età degli "ambasciatori" (shonen shisetsu) o alla loro destinazione, l'Europa (ken-O shisetsu). In particolare, i legati designati per questa missione diplomatica erano quattro giovani nobili del Kyushu, inviati come rappresentanti di alcuni signori locali noti per essere grandi protettori dei cristiani: i due inviati ufficiali erano Ito Mancio (in rappresentanza di Otomo Yoshishige Sorin, daimyo di Bungo) e Chijiwa Michele (in rappresentazanza del daimyo di Omura, Sumitada, e di quello di Harima, Harunobu); a loro erano poi stati affiancati Hara Martino e Nakaura Giuliano. Questi legati, tutti molto giovani (Michele Chijiwa, il più anziano, aveva quindici anni il giorno della partenza) salparono da Nagasaki il 20 febbraio 1582, accompagnati dallo stesso Valignano (che tuttavia si sarebbe fermato a Goa per ricoprirvi il ruolo di Provinciale dell'India), dal padre Diego Mesquita (che sarà il loro mentore per tutto il viaggio), dal padre Nuno Rodrigues, da fratel Jorge Loyola e da pochi altri.

Dopo un viaggio lungo, faticoso e non privo di insidie, il gruppo giunse finalmente a Lisbona nell'agosto 1584. Nei primi giorni di quella "avventura Europea", che non a caso doveva toccare esclusivamente la parte cattolica del Continente (Portogallo, Spagna e stati italiani), tutto si svolse secondo i piani del Valignano: i nobili giapponesi vennero "guidati" soprattutto in chiese, santuari, seminari e in visite a prelati, così da poter portare in Giappone una testimonianza edificante della Cristianità occidentale. Tuttavia, la missione diplomatica ebbe subito una svolta non prevista dal Visitatore: non appena fu al corrente del loro arrivo, Papa Gregorio XIII decise di trattare e considerare i quattro giovani come veri e propri "ambasciatori", accordando loro onori, come il Concistoro pubblico, riservati di solito ai diplomatici più illustri e accreditati. L'esempio del Papa fu naturalmente seguito dagli altri sovrani, Filippo II in testa, che fecero a gara nel primeggiare in dimostrazioni di onori. A ciò si aggiunsero poi la curiosità e l'entusiasmo popolare per questi "strani" personaggi il cui solo aspetto (per non parlare dell'atteggiamento, dei doni e delle abitudini) non poteva che suscitare l'interesse generale.

Dopo essere stati quindi ricevuti festosamente nell principali corti dell'Europa mediterranea, specialmete quelle italiane, i quattro nobili giapponesi intrapresero il 13 aprile 1586 il lungo viaggio di ritorno: dopo una sosta altrettanto interminabile a Goa dove li attendeva il Valignano, giunsero insieme a lui a Nagasaki solo nel 1590. Nel frattempo, la situazione nell'arcipelago era notevolmente cambiata per la minoranza cattolica: morto Nobunaga, il nuovo signore del Giappone, Toyotomi Hideyoshi (1536-1598), inizialmente favorevole alla Compagnia, aveva finito per guardarla con sospetto, tanto da emanare contro di essa un editto di espulsione in cinque punti (25 luglio 1587); la situazione per i gesuiti era poi aggravata dalla fine del loro monopolio, infranto dall'arrivo degli ordini religiosi legati alla corona spagnola (francescani e domenicani), in seguito alla riunificazione di quest'ultima con quella portoghese operata da Filippo II; per di più, gli scontri dei gesuiti con i francescani e i domenicani sul metodo di evangelizzazione aveva irritato ulteriormente i giapponesi. Non stupisce quindi che l'ambasceria non avesse alla fine raggiunto l'obbiettivo tanto sperato dal Valignano: la testimonianza dei giovani ambasciatori non ebbe praticamene alcuna rilevanza in Giappone. In compenso però, la missione diplomatica aveva portato a un esito insperato e inatteso: aveva fatto conoscere all'Europa, e in particolare all'Italia, un mondo fino ad allora considerato dai più solo come il mitico Cipangu di Marco Polo.