A determinare tali trasformazioni fu, innanzitutto, il fatto che in un Giappone ancora arretrato e centralizzato solo di recente, era assai difficile per il governo centrale combattere tendenze dure a morire come la sostanziale autonomia degli antichi uji (o clan) e l'influenza che essi avevano ancora sui contadini contribuenti. Inoltre, dato che si accedeva alle cariche più alte in base alla nascita e non al merito, mancava una burocrazia potente e in grado di amministrare correttamente le province; molte dei queste, infatti, venivano lasciate della corte in uno stato di semi abbandono. Per non parlare del fatto che la pressione fiscale esercitata sugli agricoltori spingeva questi ad abbandonare le terre kubunden mentre ondate di malattie provenienti dal continente (come l'epidemia di vaiolo del 735-737) provocavano la rovina e quindi l'abbandono di molti altri campi.
Tutti questi fattori resero evidente la debolezza e la mancanza di flessibilità del sistema cinese di nazionalizzazione della terra e spinsero il governo ad adottare contromisure per incrementare la produttività delle terre statali e, così, le entrate provenienti dalla loro tassazione. Infatti, con l'obiettivo di portare nuove risorse nelle casse dello stato, il governo volle estendere le aree coltivabili ma, non riuscendo a raccogliere la manodopera necessaria, promulgò due leggi che incentivassero la bonifica del territorio: un decreto del 723 concedeva a famiglie aristocratiche o istituzioni religiose il possesso privato per una o tre generazioni delle terre che avessero reso produttive; un'atro decreto del 743 avrebbe poi reso perpetua tale concessione.
Le due leggi contraddicevano palesemente l'intero sistema promosso dalla riforma Taika, dato che le nuove zone messe a cultura non erano più "terre pubbliche" e "di proprietà imperiale", ma possedimenti privati, detti shoen, sottoposte al controllo della nobiltà e del clero. In questo modo, aristocratici di corte e i grandi templi della capitale, ottenendo perfino l'esenzione fiscale, aumentarono notevolmente la loro ricchezza e la loro influenza a scapito di quelle del sovrano, che vide invece diminuire progressivamente le proprie entrate nonché il proprio controllo sulla terra e su i suoi abitanti.
Quindi, a partire dalle contraddizioni del sistema fondiario era ormai iniziato un processo di decadimento del potere centrale, un processo che non poteva essere arrestato nemmeno dell'iniziativa di imperatori energici e abili, come ad esempio Kanmu che regnò dal 781 all'806. Salito al trono come cinquantesimo imperatore, Kanmu è ricordato per aver trasferito la capitale da Nara a Nagaoka nel 784 e nuovamente a Heiankyo (l'odierna Kyoto) nel 794. Nella sua nuova sede, Kanmu mirò a rafforzare l'autorità imperiale e a ripristinare il suo antico ruolo limitando nel contempo la nascita di nuove tenute private. Ma alla lunga il suo progetto si sarebbe rivelato vano e la dinastia imperiale avrebbe finito per ricoprire un ruolo puramente sacrale e cerimoniale, mentre avrebbe smesso di ricoprire quello politico per circa un millennio.





