sabato 27 ottobre 2007
Introduzione al Kojiki 古事記
Le vicende descritte sinteticamente nell'articolo precedente ( Le origini dal mito ) sono trattate nel Kojiki (letteralmente "vecchie cose scritte"), la più antica opera letteraria giapponese a noi pervenuta. In particolare, il testo riportato in questo blog, costituisce a grandi linee l'argomento del primo dei 3 libri in cui il Kojiki è suddiviso, quello riferito all'epoca mitologica dall'origine dell'arcipelago alla fondazione dell'impero ad opera di Jinmu. Nel secondo libro, invece, la narrazione tratta il succedersi di sovrani parzialmente sovrumani arrivando fino al III secolo d.C mentre il terzo, riguarda vicende di un tempo vicino e si conclude con brevi notizie sull'imperatrice Suiko arrivando al 628 circa.
Compilato presumibilmente nel 712 d.C. dal nobile di corte Yasumaro per ordine dell' imperatrice Genmei, il Kojiki è anche il risultato della revisione di annali dinastici e dei miti antichi (tramandati oralmente) fatta dal cortigiano Are per volere dell'imperatore Tenmu attorno alla fine del VII secolo. Il lavoro di Are, interrottosi alla morte del sovrano nel 686, sarebbe infatti stato ripreso venticinque anni dopo da Yasumaro. Il Kojiki viene dunque a prendere forma negli ambienti della corte imperiale tra gli ultimi anni del VII secolo e i primi dell'VIII, ovvero il periodo di consolidamento del potere politico e religioso della dinastia regnante. Proprio in questi anni, l'opera si configura come la legittimazione ideologica della supremazia della famiglia imperiale. Il Kojiki nasce infatti come una sorta di "propaganda dinastica", voluta dall'Imperatore Tenmu, facendo discendere la famiglia imperiale dalla divinità suprema, la dea del Sole Amaterasu Omoikami che avrebbe inviato i suoi discendenti a regnare sulla terra di Yamato (antico nome del Giappone). Il legame di sangue con la dea solare e la sanzione celeste dell' egemonia terrena del sovrano avrebbero impedito la possibilità di un avvicendamento dinastico, contribuendo così alla sopravvivenza dell' istituzione imperiale anche quando questa sarà priva di un effettivo potere politico.
Quelli della compilazione del Kojiki sono inoltre gli anni di una svolta cruciale nella cultura dominante: è proprio in questi anni, in cui il modello culturale cinese tende a diventare egemone in tutti i campi del sapere, che il Giappone cominciò a coniare soluzioni originali in arte, architettura e letteratura. Infatti, il Kojiki mostra lo sviluppo embrionale di un sistema di scrittura propriamente giapponese, sebbene basato su caratteri cinesi. In pratica, si tenta di mettere, per la prima volta, per iscritto la lingua giapponese adattando alle sue esigenze la scrittura cinese. Nasce così una prosa scritta con ideogrammi di origine cinese mescolati, talvolta, a caratteri fonetici giapponesi.
Il Kojiki segna dunque l'esordio letterario del Giappone.Si tratta, infine, di un racconto dove si intrecciano successioni al trono, matrimoni regali ma anche storie di tradimenti e inganni, racconti del terrore e resoconti di incantesimi e maledizioni dove prevalgono atti crudeli e violenti.Certo, la violenza non manca nemmeno nei miti di alte parti del mondo ma a contraddistinguere la mitologia giapponese dalle altre è l'assenza di giudizi morali su ciò che buono o cattivo: alcune azioni possono essere seguite da punizioni o censure ma mai da riprovazioni. Così, per esempio, il dio Susano-o, pur comportandosi in modo malvagio viene allontanato dal Cielo ma non viene mai condannato per il suo atteggiamento.Un certo tipo di comportamento può essere accettato o rifiutato a seconda delle circostanze, e non in base a un codice di principi universalmente riconosciuti.
In conclusione, il Kojiki è senz'altro una lettura tanto interessante quanto utile per iniziare a conoscere, o approfondire, aspetti storici ma anche culturali, antropologici e perfino sociali del Giappone. Per questo motivo, oltre che per l'incredibile immaginario e i messaggi in esso contenuti, è una lettura che raccomando a chiunque e , in particolare, a chi è interessato al Paese del Sol Levante.
venerdì 19 ottobre 2007
Le origini dal mito
Secondo la mitologia giapponese, all'origine di tutto, le divinità del Takamagahara (le Pianure del più Alto Livello del Cielo), osservando la distesa salmastra, informe e caotica sotto di loro,inviarono la coppia Izanagi (
Inoltre,da Izanagi e Izanami ebbe origine anche una numerosa discendenza divina, ma nel partorire il dio del fuoco, Izanami si ustionò il ventre e morì dandolo alla luce. Disperato, Izanaki si recò nello Yomi, il paese dei
Però, a causa del suo carattere ribelle, Susano-o si rifiutò di governare l'oceano e fu, per questo ,cacciato dal padre; Susano-o decise allora di recarsi all
Susano-o ,cacciato così dal cielo, si incammino nella terra degli e uomini e si recò ,per la precisione, a Izumo dove uccise il drago di
La Dea del Sole infatti aveva mandato dal cielo suo nipote Ninigi a governare sulla terra di Yamato (questo era infatti l'antico nome del Giappone) consegnandoli i tre tesori divini che avrebbero costituito per lui e i suoi discendenti il simbolo della loro investitura celeste. Tali tesori (ovvero la spada ,lo specchio e i gioielli sopra citati) sono tuttora il simbolo della legittimazione divina del tenno (l'imperatore). Fu infatti a partire dalla mitica data della fondazione dell'Impero giapponese l'11 febbraio 660 a.C. per opera del primo Imperatore Jinmu, nipote di Ninigi, ad avere inizio la Dinastia del Crisantemo che dura tuttora e che ,in quanto discendente per linea diretta dalla dea Amaterasu, è essa stessa divina.
giovedì 11 ottobre 2007
Introduzione: come (non) guardare il Giappone
Vorrei inaugurare questo blog, (apparentemente) molto specifico, meditando, prima di tutto, su come noi italiani, o meglio, noi occidentali ci poniamo di fronte a ciò che si usa definire "Oriente" e a una delle sue numerose realtà (il Giappone, appunto). E Vorrei fare ciò a partire da una contestualizazione storica, mostrando le origini di un'interpretazione dell'Asia relativamente recente e, a mio parere, sbagliata indicando tra l'altro i residui che tale interpretazione ha lasciato nella nostra cultura. Come si vedrà alla fine di questo articolo, tali residui dovranno essere infatti abbandonati ai fini di una lettura che cerchi di cogliere la storia e la cultura giapponesi nel loro contesto locale e non all'interno di una visione "occidentalista" del mondo.
Tra i primi anni del 500 e la metà 800, gli europei costituivano in Asia una presenza marginale tanto dal punto di vista numerico quanto della forza di influenza, non avendo gli strumenti per cambiare la relazione di inferiorità che avevano col mondo orientale. A partire dalla metà del XIX secolo, invece, la situazione si capovolse rapidamente e in una stagione intensa ma breve l'Europa finì per dominare l'Asia. Tale stagione di conquista europea fu legata alla rivoluzione industriale che dotò gli europei di quegli strumenti di controllo economico e di superiorità militare, permettendole così la forzatura e l'apertura delle realtà asiatiche.Inoltre, convincendosi della superiorità del loro sistema politico ed economico, gli europei finirono per credersi superiori agli orientali in quanto esportatori di un superiore modello politico, sociale ed economico.
E' proprio in questo periodo che nasce ,infatti, il mito dell' "uomo" bianco, dotato di una naturale superiorità culturale morale e intellettuale rispetto al resto del mondo. Di conseguenza, si sviluppò una visione eurocentrica che considerava l'Asia orientale solo su un piano di contrasto o di relazione con l'occidente.In pratica l'altro diventava importante nel momento in cui entrava a far parte dell' esperienza occidentale. Tale visione, rimasta dominante almeno fino alla metà del secolo scorso, ha influito e condizionato perfino l'ambito scolastico dei nostri giorni : infatti,nella maggior parte dei casi si studia l'Asia Orientale quando ha avuto un ruolo nel rapporto con l'Europa.
Di conseguenza noi siamo abituati a pensare alla trasformazione del mondo, sia in positivo che in negativo, come una nostra responsabilità. Anche quando critichiamo l'imperialismo occidentale, inconsciamente, lo facciamo nella prospettiva che noi siamo i superiori, i dominatori. D' altra parte ,si è comunque sviluppata di recente una storiografia "orientale" che pone l'analisi dell'Asia non sotto un ottica occidentale, europea, ma sotto un'analisi che osserva le fasi specifiche della storia dei paesi asiatici.
Ciò non toglie il fatto che l'Eurocentrismo abbia lasciato la sua impronta tanto nella storiografia quanto, soprattutto, nella cultura occidentale.I residui di un tale impatto si possono, per esempio, osservare in espressioni, convinzioni e pregiudizi della nostra quotidianità. Per esempio,nel momento in cui indichiamo i giapponesi come abili imitatori ed emulatori per giustificare il loro progresso tecnologico, implicitamente non riconosciamo una loro effettiva capacità di cogliere, da soli, i princìpi della meccanica e, magari, li consideriamo persino plagiari della "tecnica" occidentale. Per lo stesso motivo, si sono sviluppati in occidente tutta una serie di luoghi comuni (per esempio quello del paradosso della "convivenza della modernità con la tradizione" )che non fa altro che contribuire a darci una visione distorta del Giappone.
La storia e la cultura giapponese andrebbero, dunque, affrontati ( e questo blog ci prova) nel loro specifico contesto senza assumere il mondo occidentale come unico termine di paragone , evitando pregiudizi , luoghi comuni tipici della nostra mentalità e, soprattutto, interpretazioni superficiali e banali.
Tra i primi anni del 500 e la metà 800, gli europei costituivano in Asia una presenza marginale tanto dal punto di vista numerico quanto della forza di influenza, non avendo gli strumenti per cambiare la relazione di inferiorità che avevano col mondo orientale. A partire dalla metà del XIX secolo, invece, la situazione si capovolse rapidamente e in una stagione intensa ma breve l'Europa finì per dominare l'Asia. Tale stagione di conquista europea fu legata alla rivoluzione industriale che dotò gli europei di quegli strumenti di controllo economico e di superiorità militare, permettendole così la forzatura e l'apertura delle realtà asiatiche.Inoltre, convincendosi della superiorità del loro sistema politico ed economico, gli europei finirono per credersi superiori agli orientali in quanto esportatori di un superiore modello politico, sociale ed economico.
E' proprio in questo periodo che nasce ,infatti, il mito dell' "uomo"
Di conseguenza noi siamo abituati a pensare alla trasformazione del mondo, sia in positivo che in negativo, come una nostra responsabilità. Anche quando critichiamo l'imperialismo occidentale, inconsciamente, lo facciamo nella prospettiva che noi siamo i superiori, i dominatori. D' altra parte ,si è comunque sviluppata di recente una storiografia "orientale" che pone l'analisi dell'Asia non sotto un ottica occidentale, europea, ma sotto un'analisi che osserva le fasi specifiche della storia dei paesi asiatici.
Ciò non toglie il fatto che l'Eurocentrismo abbia lasciato la sua impronta tanto nella storiografia quanto, soprattutto, nella cultura occidentale.I residui di un tale impatto si possono, per esempio, osservare in espressioni, convinzioni e pregiudizi della nostra quotidianità. Per esempio,nel momento in cui indichiamo i giapponesi come abili imitatori ed emulatori per giustificare il loro progresso tecnologico, implicitamente non riconosciamo una loro effettiva capacità di cogliere, da soli, i princìpi della meccanica e, magari, li consideriamo persino plagiari della "tecnica" occidentale. Per lo stesso motivo, si sono sviluppati in occidente tutta una serie di luoghi comuni (per esempio quello del paradosso della "convivenza della modernità con la tradizione" )che non fa altro che contribuire a darci una visione distorta del Giappone.
La storia e la cultura giapponese andrebbero, dunque, affrontati ( e questo blog ci prova) nel loro specifico contesto senza assumere il mondo occidentale come unico termine di paragone , evitando pregiudizi , luoghi comuni tipici della nostra mentalità e, soprattutto, interpretazioni superficiali e banali.
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